In questo periodo si ritorna a parlare di ultras. Il folk devils è in agguato. Maroni si preoccupa della rabbia degli ultras presenti in piazza il 15 ottobre, i giornali di regime propongono fantomatiche recensioni dei libri provenienti dal sottosuolo ultrà militante, i signori della morale tentano di dare una spiegazione criminologica del fenomeno ed addirittura i fascisti dedicano spazio al caso. Il "Secolo D'Italia" lascia alla penna di Giovanni Tarantino il compito di attaccare gli ultras antifascisti proponendo una sorta di visione "rossobruna" del movimento ultrà italiano.
Sul forum neofascista "vivamafarka" hanno aperto un post dedicato al libro "controcultura ultras", scritto dal compagno anarchico Marco De Rose, cresciuto fra la curva del Cosenza, la strada ed i centri sociali occupati. Abbiamo deciso di riportare l'articolo e di esprimere quella che invece è la nostra posizione:
"LE BUFALE DI CONTROCULTURA ULTRAS
E in certe curve si continua
la sfida “rossi contro neri”
La controcultura diventa metafora di antifascismo militante (fuori tempo massimo)
Giovanni Tarantino
Chi non vuole uscire dalla logica degli anni di piombo, purtroppo, trova ancora adepti in qualche curva di stadi italiani e non solo. Così è possibile trovare nel 2011 un libro che racconta le curve d’Italia come fossero centri sociali di matrice autonoma o anarchica insurrezionalista. Controcultura ultras. Comunicazione, partecipazione, antagonismo (Coessenza, pp.247, euro 15), scritto da Marco De Rose, è il fiore all’occhiello degli ultras allineati a sinistra. L’autore è un ultrà del Cosenza, curva rossa, e frequentatore della Libreria internazionale di Via dei Volsci a Roma, quella fondata dal «sociologo di strada» Valerio Marchi, scomparso nel 2006.
Il fenomeno ultrà viene visto in questo libro come una controcultura, con i suoi linguaggi, i suoi stili, intrisi di comunicazione controinformativa e lotte sociali. Questo è un dato vero, confutabile leggendo le storie di diverse tifoserie italiane. Le conclusioni a cui giunge, tuttavia, sono nefaste. I toni sono fortemente politicizzati. L’analisi che parte da un presupposto valido – quella ultras è una controcultura – si perde nei moniti da ciclostile della curva livornese: «Non siamo e non saremo mai solidali a nessun ultras neofascista, in quanto il suo annientamento è il nostro obiettivo». Appare come un paradosso la realtà di un fronte comune per ultrà omologati, con esponenti delle tifoserie di Ternana, Livorno, Ancona, Cosenza, ribattezzato «fronte di resistenza ultras».
Ha forse un senso ricordare che le Brigate Rossonere, fondate nel 1975, annoverano tra i loro creatori quel Toni Negri leader dell’Autonomia operaia. Caso non unico di commistione tra ultras e militanti politici a sinistra come a destra. Va annoverato in tal senso anche il caso di Beppe Franzo, tra i fondatori degli Indians della Juventus negli anni Ottanta, e successivamente animatore de L’Araldo, centro culturale tradizionalista torinese. Proprio Franzo, qualche tempo fa, presentando ai microfoni di “Radio Bandiera Nera” il suo libro Via Filadeflia 88 (Novantico), ha ricordato peraltro una rivalità nella rivalità che animava la contrapposizione cittadina torinese tra gli «Indians della Juve, composti in maggioranza da militanti della destra extraparlamentare e i Granata Korps, che radunavano quasi tutto il Fronte della Gioventù missino della città della Mole».
Ma erano quelli i tempi: in certi casi si era ultras e comunisti, o ultras e neofascisti. E storie come quella raccontate da Franzo non sono dissimili a quanto accadeva nelle curve di sinistra. È un pezzo di storia, non lo si può negare e ha un senso ridiscuterne oggi. Quello che appare meno sensato è imitare esperienze di quel tipo ai nostri tempi. Che senso ha, oggi, a giocare a curve rosse contro curve nere? A immaginare trame oscure che legano le curve «di destra» alle forze dell’ordine? È forse di matrice rossa la curva di appartenenza del povero Gabriele Sandri? Oppure quel caso evidenzia un’assurdità che non ha nulla a che vedere con i colori politici e di fede calcistica?
Ai paladini della contrapposizione politica applicata al calcio sfugge poi un altro dato. Sono veramente pochi i casi di curve completamente allineate in un unico fronte politico. I casi più noti quelli dell’Hellas Verona a destra o del Livorno a sinistra: in mezzo tante tifoserie a predominanza trasversale. Ma negli anni d’oro del movimento ultrà italiano, gli Ottanta, le rivalità non erano quasi mai dettate dal colore politico. È il campanilismo, lo spirito di supremazia territoriale che domina nel calcio, e nella sua filosofia, fin dagli albori tardo ottocenteschi derivanti dalla Gran Bretagna. Non si spiegherebbero altrimenti le rivalità stracittadine tra Roma e Lazio, l’antipatia tutta campana tra Salernitana e Cavese, l’odio tra due fazioni un tempo di sinistra come atalantini e fiorentini. Non è figlio della politica il cosiddetto derby d’Italia tra Inter e Juventus, come non lo è quello di Sicilia tra Palermo e Catania.
Diverso è il senso delle battaglie condivise «contro il calcio dei padroni», altro che la certificazione di conformità ideologica che certi “compagni” vorrebbero. Negli ultimi anni il mondo ultras ha avuto di che lamentarsi. Da provvedimenti discutibili come la tessera del tifoso fino a casi di eclatante ingiustizia come quello riguardante la morti di Gabriele Sandri e Matteo Bagnaresi. È quasi naturale che gli ultras fungano da comune cassa di risonanza di battaglie civili: è logico che chiedano di essere ascoltati, che pretendano garanzie, che non vogliano essere l’anello debole della catena chiamata calcio. Ma non è il clima da «noi contro di loro» che può risolvere il problema. L’antifascismo da stadio è solo uno scimmiottamento di contrapposizioni desuete, dannose, che hanno generato un clima di odio e una stagione di sangue. Di un periodo che, per fortuna, non interessa il mondo del calcio, che avrà pure mille difetti ma che non è toccato, nemmeno per sbaglio, dagli antagonismi da guerra civile fuori tempo massimo che piacciono tanto a qualche nostalgico.
Secolo d'Italia"
la sfida “rossi contro neri”
La controcultura diventa metafora di antifascismo militante (fuori tempo massimo)
Giovanni Tarantino
Chi non vuole uscire dalla logica degli anni di piombo, purtroppo, trova ancora adepti in qualche curva di stadi italiani e non solo. Così è possibile trovare nel 2011 un libro che racconta le curve d’Italia come fossero centri sociali di matrice autonoma o anarchica insurrezionalista. Controcultura ultras. Comunicazione, partecipazione, antagonismo (Coessenza, pp.247, euro 15), scritto da Marco De Rose, è il fiore all’occhiello degli ultras allineati a sinistra. L’autore è un ultrà del Cosenza, curva rossa, e frequentatore della Libreria internazionale di Via dei Volsci a Roma, quella fondata dal «sociologo di strada» Valerio Marchi, scomparso nel 2006.
Il fenomeno ultrà viene visto in questo libro come una controcultura, con i suoi linguaggi, i suoi stili, intrisi di comunicazione controinformativa e lotte sociali. Questo è un dato vero, confutabile leggendo le storie di diverse tifoserie italiane. Le conclusioni a cui giunge, tuttavia, sono nefaste. I toni sono fortemente politicizzati. L’analisi che parte da un presupposto valido – quella ultras è una controcultura – si perde nei moniti da ciclostile della curva livornese: «Non siamo e non saremo mai solidali a nessun ultras neofascista, in quanto il suo annientamento è il nostro obiettivo». Appare come un paradosso la realtà di un fronte comune per ultrà omologati, con esponenti delle tifoserie di Ternana, Livorno, Ancona, Cosenza, ribattezzato «fronte di resistenza ultras».
Ha forse un senso ricordare che le Brigate Rossonere, fondate nel 1975, annoverano tra i loro creatori quel Toni Negri leader dell’Autonomia operaia. Caso non unico di commistione tra ultras e militanti politici a sinistra come a destra. Va annoverato in tal senso anche il caso di Beppe Franzo, tra i fondatori degli Indians della Juventus negli anni Ottanta, e successivamente animatore de L’Araldo, centro culturale tradizionalista torinese. Proprio Franzo, qualche tempo fa, presentando ai microfoni di “Radio Bandiera Nera” il suo libro Via Filadeflia 88 (Novantico), ha ricordato peraltro una rivalità nella rivalità che animava la contrapposizione cittadina torinese tra gli «Indians della Juve, composti in maggioranza da militanti della destra extraparlamentare e i Granata Korps, che radunavano quasi tutto il Fronte della Gioventù missino della città della Mole».
Ma erano quelli i tempi: in certi casi si era ultras e comunisti, o ultras e neofascisti. E storie come quella raccontate da Franzo non sono dissimili a quanto accadeva nelle curve di sinistra. È un pezzo di storia, non lo si può negare e ha un senso ridiscuterne oggi. Quello che appare meno sensato è imitare esperienze di quel tipo ai nostri tempi. Che senso ha, oggi, a giocare a curve rosse contro curve nere? A immaginare trame oscure che legano le curve «di destra» alle forze dell’ordine? È forse di matrice rossa la curva di appartenenza del povero Gabriele Sandri? Oppure quel caso evidenzia un’assurdità che non ha nulla a che vedere con i colori politici e di fede calcistica?
Ai paladini della contrapposizione politica applicata al calcio sfugge poi un altro dato. Sono veramente pochi i casi di curve completamente allineate in un unico fronte politico. I casi più noti quelli dell’Hellas Verona a destra o del Livorno a sinistra: in mezzo tante tifoserie a predominanza trasversale. Ma negli anni d’oro del movimento ultrà italiano, gli Ottanta, le rivalità non erano quasi mai dettate dal colore politico. È il campanilismo, lo spirito di supremazia territoriale che domina nel calcio, e nella sua filosofia, fin dagli albori tardo ottocenteschi derivanti dalla Gran Bretagna. Non si spiegherebbero altrimenti le rivalità stracittadine tra Roma e Lazio, l’antipatia tutta campana tra Salernitana e Cavese, l’odio tra due fazioni un tempo di sinistra come atalantini e fiorentini. Non è figlio della politica il cosiddetto derby d’Italia tra Inter e Juventus, come non lo è quello di Sicilia tra Palermo e Catania.
Diverso è il senso delle battaglie condivise «contro il calcio dei padroni», altro che la certificazione di conformità ideologica che certi “compagni” vorrebbero. Negli ultimi anni il mondo ultras ha avuto di che lamentarsi. Da provvedimenti discutibili come la tessera del tifoso fino a casi di eclatante ingiustizia come quello riguardante la morti di Gabriele Sandri e Matteo Bagnaresi. È quasi naturale che gli ultras fungano da comune cassa di risonanza di battaglie civili: è logico che chiedano di essere ascoltati, che pretendano garanzie, che non vogliano essere l’anello debole della catena chiamata calcio. Ma non è il clima da «noi contro di loro» che può risolvere il problema. L’antifascismo da stadio è solo uno scimmiottamento di contrapposizioni desuete, dannose, che hanno generato un clima di odio e una stagione di sangue. Di un periodo che, per fortuna, non interessa il mondo del calcio, che avrà pure mille difetti ma che non è toccato, nemmeno per sbaglio, dagli antagonismi da guerra civile fuori tempo massimo che piacciono tanto a qualche nostalgico.
Secolo d'Italia"
il libro in questione è scritto da un compagno vicino al nostro percorso politico ed è anche per questo motivo che ci sentiamo in dovere di rispondere.
CONTROCULTURA ULTRAS fra l'altro è un testo scritto grazie alle esperienze dirette dell'autore, militante dei Rebel Fans Cosenza, uno dei gruppi ultras che ha scritto la propria storia fra stadi, strade e piazze, fra tifo e lotte sociali, rivendicando sempre e comunque un carattere eretico ed antifascista. Del resto, Marco, nel suo lavoro non nasconde le sue idee politiche e sottolinea più volte che si tratta di una visione atipica del fenomeno ultras. Una visione "personale" non un dato oggettivo o una verità, una visione scaturita appunto dalle esperienze legate al "Fronte di Resitenza Ultras", alla rete"futbol rebelde", agli spezzoni della "controcultura ultrà" nei cortei no global al fianco di fratelli e compagni imputati. In questa prospettiva si legano anche le innumerevoli battaglie contro la repressione e gli insabbiamenti giudiziari,contro le ingiustizie e gli abusi, contro il razzismo. Tutte lotte che hanno accomunato i gruppi ultrà più schierati socialmente.
La peculiarità è proprio nella consapevolezza che il fenomeno ultras è un universo vasto e diversificato di esperienze di aggregazione, partecipazione ed antagonismo. Ecco perchè l'autore spiega che non si puo' parlare di una sola "mentalità ultras" bensì è meglio analizzare le realtà di curva singolarmente. L'esistenza di "reti" trasversali fra gruppi ultras con idee e propensioni simili è un aspetto fondamentale per superare la solita e semplicistica teoria che vede gli ultras come una massa di teppisti "contro tutto e tutti".
Si parla di controcultura proprio perchè partendo dalle radici parapolitiche del fenomeno, nato fra gli anni sessanta e settanta, si arriva alla concezione della curva come uno "spazio sociale", una "taz"( zona temporaneamente autonoma"), uno spazio ritagliato nei meccanismi del potere costituito e liberato dalla creatività e dall'antagonismo degli ultras.
Una visione certamente condizionata, come dicevamo, dalle esperienze dirette di un ultrà del Cosenza, tendenzialmente anarchico ed allergico alle autorità. Se si parla di controcultura è proprio per andare oltre gli stereotipi costruiti ad hoc dai mass media per criminalizzare o ridicolizzare una realtà così conflittuale. Sono fatti concreti e non supposizioni tutte le esperienze di lotta sociale portate avanti non solo dagli ultrà del Cosenza ma anche da parte di tantissimi altri gruppi che non si sono mai riconosciuti nella moda dell'ultras neofascista e xenofobo. Non si tratta di accentuare una "guerra" fra rossi e neri ma di capire le differenze abissali fra gruppi che comunque, a titolo diverso, si definiscono ultras. Se fra il Sessantotto ed il Settantasette, così tanti giovani si sono aggregati dietro uno striscione condividendo lo stare insieme sugli spalti, ci sarà una ragione sociale ma anche politica. Molti precursori della cultura ultrà provenivano da gruppi politici extraparlamentari della sinistra rivoluzionaria e hanno riportato in curva dei linguaggi e delle pratiche legate all'universo antagonista. Nello stesso tempo, altre realtà ultras erano legate a gruppi di estrema destra come il Fronte della Gioventù, Base Autonoma e altre forme di associazionismo neofascista. La curva dunque è lo specchio della società circostante e non si può far finta che si tratti di una rappresentazione distante ed al di fuori delle dinamiche sociali più grandi che per forza di cose la interessano. Queste constatazioni possono anche servire a comprendere le mille contraddizioni che caratterizzano alcuni gruppi. Atteggiamenti fascistoidi ed autoritari legati fra l'altro ad una logica di profitto non hanno nulla a che vedere con il carattere ribelle del mondo ultrà. Personaggi ambigui e speculatori hanno sfruttato il palcoscenico delle curve degli stadi per attuare una concreta strumentalizzazione politica ai danni dei giovani che la popolano e la vivono. A questo si aggiunge la moda del merchandising che ha creato un vero e proprio business intorno al fenomeno. Queste sono le incoerenze e le forti contraddizioni che , ancora più della politica, dividono il mondo ultras. Troppe differenze che non possono essere dimenticate in nome di una fantomatica unità d'intenti basata sull'odio comune contro le forze dell'ordine. Nella nostra visione ultras non c'è spazio per fascisti, razzisti e speculatori perchè a nostro avviso sono proprio loro ad aver rovinato la controcultura ultrà. Il libro di Marco, che fra l'altro nasce come una tesi di laurea in semiotica, è una sorta di analisi libera e senza stereotipi delle curve degli stadi, viste come degli spazi sociali autonomi dove vige e resiste un vero e proprio "contropotere". Le storie e gli aneddoti degli Ultrà Cosenza, dei Rebel Fans ed in generale di tutte quelle situazioni che hanno visto "i ragazzi con una sciarpa al collo" come soggetti sociali antagonisti sottolineano che si tratta di menti pensanti lontane anni luce dalle mode nazifasciste e dallo stereotipo dei teppisti con un pallone al posto del cervello.
....Perchè quando si entra in curva non si puo' dimenticare tutto cio' che c'è intorno, che c'è dentro e fuori gli stadi , non si puo' mettere da parte l'ideologia che muove le nostre battaglie. La libertà di aggregarsi, di stare insieme, di socializzare, di proporre creatività e conflitto è lo stimolo che muove i nostri passi. ....
NEGLI STADI, NELLE CARCERI, NELLA STRADA!
ANARCHICI ED ANARCHICHE CRESCIUTI IN CURVA
Comc
....Perchè quando si entra in curva non si puo' dimenticare tutto cio' che c'è intorno, che c'è dentro e fuori gli stadi , non si puo' mettere da parte l'ideologia che muove le nostre battaglie. La libertà di aggregarsi, di stare insieme, di socializzare, di proporre creatività e conflitto è lo stimolo che muove i nostri passi. ....
NEGLI STADI, NELLE CARCERI, NELLA STRADA!
ANARCHICI ED ANARCHICHE CRESCIUTI IN CURVA
Comc
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