mercoledì 7 marzo 2012

autonomia: lunedi 12 marzo facoltà di fisica


12 MARZO – FISICA, UNIVERSITA' DELLA SAPIENZA – H. 16.00

UN INVITO ALLA DISCUSSIONE

A PARTIRE DAL LIBRO: “IL GHIACCIO ERA SOTTILE. PER UNA STORIA DELL'AUTONOMIA” di Marcello Tarì, DeriveApprodi

Quella della «crisi» è, sempre più scopertamente, la costruzione di una temporalità che impone ovunque una certa tonalità emotiva che si condensa nella sensazione di un'assenza di futuro. La crisi non è solo quella economica – quella per cui i “tecnici” chiedono i sacrifici - ma anche quella della soggettività e dello spazio abitabile come in queste stesse ore è evidente nella guerra contro la Val di Susa. Tutto pare non parlarci altro che di questo: “no future for you”. Il sacrificio che il capitalismo esige è quello di noi stessi, senza nessuna promessa di redenzione ormai.
Il tempo stringe, dicono i gestori della crisi, ed è così che si viene sospinti verso i vari e coloratissimi “riprendiamoci il futuro”, verso la rivendicazione di un diritto a un'avvenire che tutti sanno benissimo essere fottuto ma che ben riassume le tendenze apocalittiche dell'epoca. Chiunque oggi scommetta sul futuro, che sia un broker o un militante noglobal, è dentro questa tendenza nichilista e sta al gioco del governo. Mentre quelli attendono il futuro, la catastrofe del progresso non si arresta e anzi accellera la sua marcia.
Abbiamo cercato di reagire facendoci forza di una sorta di immediatismo, urlando “prendiamoci il presente”. Tuttavia, seppur già meglio del primo, è un gesto che non riesce a evadere del tutto da questo tempo corto, cortissimo, che il dispositivo-crisi ci sta cucendo addosso: al meglio produce un bell'incendio. Il problema, per noi, è allora quello di allentare il tempo, di distenderlo, di farlo durare e di darsi tempo. Solo così potremmo appropriarci delle sue possibilità nel presente laddove qualsiasi raffinata analisi economica della “fase” è destinata a fallire.
Solo questo ci spinge a parlare dell'oggi a partire da un frammento di passato, a fare un passo indietro per farne due in avanti: il presente deve essere frantumato per ritrovarci finalmente nell'attualità di un divenire rivoluzionario. Quello che crediamo però è che non sia sufficiente cercare di comprendere la genealogia del campo nemico, del capitalismo, del governo degli uomini e delle cose, bensì dobbiamo rivolgere lo sguardo anche verso le macerie dei passati movimenti rivoluzionari per capire qualcosa dell'oggi, del nostro oggi. Negli anni '60 qualcuno provò a rovesciare i fattori dell'equazione rivoluzionaria e disse: «prima la classe, poi il capitale». Noi vorremmo radicalizzarlo questo rovesciamento, portarlo a un punto di rottura ancora più fragoroso.
Quindi noi ripartiamo da qui, dal ricostruire un tessuto di parole, di suoni, di immagini e di vita che costituiscono il resto vivente del movimento rivoluzionario a noi più vicino: vicino non solo nel tempo e nello spazio ma specialmente negli affetti.
E quindi, l'Autonomia.
Autonomia è un movimento rivoluzionario che nasce dentro la crisi, all'inizio degli anni '70. Quella volta la crisi fu il trampolino di lancio delle politiche neoliberali, il prodromo alla ristrutturazione “postfordista” della produzione e del governo. Dobbiamo chiederci oggi: quali sono le caratteristiche della nuova ristrutturazione? Come costruire un movimento rivoluzionario che riesca a rovesciare il rapporto di forza? E specialmente: come evitare che le lotte funzionino come volano della ristrutturazione?
Autonomia fu crisi del soggetto operaio e conseguente attacco rivoluzionario alle identità sociali. Qual è oggi il soggetto da sovvertire? Quali le identità da dissolvere in un processo insurrezionale?
La rottura della centralità della fabbrica significò, all'indomani dell'occupazione della Fiat Mirafiori nel 1973, non un riflusso delle lotte ma la diffusione delle pratiche di conflitto operaio nella metropoli. Il partito di Mirafiori divenne il partito della metropoli. Possiamo dire che oggi la Val di Susa è la nostra Mirafiori?
Autonomia è privilegiare come strumento di organizzazione la costruzione e l'intensificazione di un linguaggio comune: giornali, riviste, radio libere, piazze furono i canali di circolazione attraverso cui correva il desiderio e le pratiche di rivoluzione. Come possiamo rapportarci oggi ai nuovi mezzi di comunicazione se essi sono divenuti effettivamente uno strumento di produzione e di controllo totalizzante?
La circolazione tra i diversi collettivi, giornali, luoghi, case ecc. era permessa dalla porosità che caratterizzava la forma di vita e di organizzazione autonoma. Riguadagnare una tale capacità significa corrodere, di nuovo e più profondamente, quella linea di separazione che non solo divide il “privato” dal “politico” ma la vita stessa dalla sua forma di organizzazione politica.
Autonomia è farla finita con il sole dell'avvenire e vivere il comunismo qui e ora. Come possiamo oggi rendere praticabile nuovamente questo passaggio distruttivo/creativo nel presente? Vi sono dei paradigmi, degli esempi che nell'attualità ci indicano la praticabilità di questo desiderio?

Nessun commento:

Posta un commento