3° racconto:
Anselmo e Greta
racconto inedito di Duka
Dopo l’ultimo Teknival, nella Repubblica Ceca, i genitori di Anselmo e Greta erano andati sotto economicamente con il traffico delle droghe, procurarsi i soldi era diventato un problema che gravava sempre di più sul loro tenore di vita. Carlo, il papà dei bamboccini, era stato incapace di gestire la fattanza sua e della sua nuova compagna Flaminia. Questa, come tutte le ragazze belle di buona famiglia che aspirano a diventare reginette da rave, consumava droghe come una Porsche la benzina.
Alla tossicodipendenza si aggiungeva, aggravando la situazione, la crisi economica che aumentava la disoccupazione e faceva crescere il numero degli spacciatori sulla piazza. I suoi clienti impoveriti dalla recessione, con sempre meno soldi nelle tasche, aumentavano il loro buffo come i paesi del terzo mondo incrementano il debito estero. Senza contare che alle feste veniva sempre meno gente, sia per lo schifo in cui si erano trasformate, sia a causa della repressione poliziesca che si era fatta sempre più pressante.
Anche il Teknival nella Repubblica Ceca, dopo dieci giorni, era stato interrotto dalle guardie. Carlo e Flaminia, quando la polizia fece irruzione nella festa, si trovavano dentro il loro furgone collassati dopo l’ennesimo bottone di Special K. I due non si accorsero di quello che stava succedendo e furono svegliati con violenza, a forza di anfibiate, dalle guardie nel camper. La polizia trovò droghe, sostanze da taglio, bilancini e molti soldi. A questo punto, per evitare il carcere e il sequestro del mezzo, avevano dovuto consegnare malvolentieri alla sbirraglia quasi tutti i denari guadagnati e le sostanze. In più Carlo doveva mantenere i due figli e questo era motivo continuo di litigio con Flaminia, la matrigna dei bambini, ragazza avida e senza cuore che preferiva comperare da mangiare per il suo Pit Bull che sfamare i figli del suo compagno.
Anselmo e Greta erano nati dall’unione tra quel rimastino di Carlo, noto pusher e dj della tribe dei Klingon, con Lara una dolcissima ragazza che aveva contribuito alla nascita della scena rave capitolina, quindici anni fa, quando alle feste regnava l’empatia, prima che si trasformassero in situazioni rancide dai risvolti di merda. Dopo anni passati felici in giro per il mondo all’inseguimento del rave continuo con il loro furgone e il loro piccolo levriero, salvato da un cinodromo per fare contenti i bamboccini che volevano un cane come quello di Bart Simpson. I loro due figli crescevano beati ascoltando Tetris di Aphex Twin e si addormentavano ascoltando la mamma che leggeva i loro i racconti preferiti tratti dal libro Acid House.
Poi Lara si ammalò di cancro, a causa di quello che successe alla festa nella tipografia abbandonata della rivista di fumetti “Lancio Story”. A provocare la malattia, fu l’inalazione continua di toner per ore, mentre ballava, perchè il pavimento del capannone era pieno della nociva polvere, usata per stampare, e nessuno se ne era accorto visto che era notte. La mattina dopo, quando la luce penetrò nel capannone, le facce di tutti i ballerini erano completamente blu come sicuramente i loro polmoni, il toner non si riusciva a levarselo di dosso, anzi più acqua e sapone ti strofinavi in viso, più la tua faccia diventava blu. Lara morì un anno dopo. A quel punto, Carlo sprofondò ancora di più nella droga, si lasciò andare, perdendo ogni interesse in quello che faceva e nei suoi figli, pensava solo a bollire il suo cervello e a svoltare figa a buon mercato.
Mentre erano fermi in un’area sosta per camper, in viaggio verso il Salento per la festa di ferragosto, Flaminia si stava cremando le ultime roccette.
Anselmo, che faceva finta di dormire, sentì il padre che urlava alla matrigna: «Te stai a fuma tutto, la fai finita de fa la lesbica con la figa degli altri».
«A stronzo, cachi er cazzo per due grammi di monnezza».
Carlo le disse: «Passa quella bottiglia, fammi fumare».
Flaminia rispose: «Col cazzo che fumi, ti do in culo e fuoco ai capelli».
«A infamella, frocio e pelato me voi fa morì».
Lei passando la bottiglia disse: «Fuma, tanto ne abbiamo altra».
Anselmo sentiva il padre, che come al solito, cercava di spiegare alla matrigna che la situazione era difficile e che le droghe doveva ripagarle al suo fornitore. Allora Flaminia convinse Carlo ad abbandonare i suoi figli il giorno dopo in mezzo al bosco, dove i bambini sicuramente sarebbero morti di fame. Uditi i discorsi dei genitori, durante la notte Anselmo furtivamente andò al nascondiglio delle ecstasy, ne rubò un po’ riempiendosi le tasche.
Al mattino Carlo disse: «Andiamo a fare legna»; mentre la famigliola va nella foresta a prendere tronchetti e rami, Anselmo, senza farsi notare, lasciò cadere una scia di pasticchine. Il padre e la matrigna si allontanarono con un pretesto, abbandonando i ragazzini nel bosco, ma al sorgere della luna i bambini riuscirono a tornare all’area di sosta seguendo le tracce delle pasticche.
Due giorni dopo ormai quasi in Salento, Flaminia disse: «Riproviamoci, accanniamoli domani». Anselmo aveva sentito, anche questa volta, la matrigna e quella notte provò a rubare altre pasticche, ma non le ritrovò, perché i genitori avevano cambiato il nascondiglio. La mattina andarono tutti insieme nel bosco, il bambino lungo la strada gettò a terra, senza farsi notare, manciate di speed che aveva trovato nel furgone. Quando Greta e Anselmo si ritrovarono da soli, cercarono invano la polvere alla luce della luna, ma gli uccellini l’avevano mangiata tutta e ora volavano impazziti, lanciandosi giù dagli alberi in picchiata, come caccia bombardieri, a velocità supersonica. Dopo avere vagato nella foresta per due giorni, i due bambini videro un uccello bianco come la neve. Lo seguirono e arrivarono a una casa fatta di pane, con il tetto di focaccia e le finestre di zucchero: affamati com’erano i due ragazzini cominciarono a mangiare.
La casa era abitata da una vecchia strega dalla vista corta, che aveva domandato: «Rodi, rodi, morsicchia, la casina chi rosicchia?».
I bambini risposero: «Il vento, il venticello, lo scoppiato bambinello» e continuarono a mangiare. La strega li invitò dentro, regalandogli due pacchetti di m&ms, poi dentro casa offrì tè carico di lsd e dei pasticcini all’erba.
«Come è buona questa vecchina» disse Greta.
«È la nonna che avevamo sempre desiderato» rispose il fratello.
Il giorno seguente la strega, dopo averli imbaratrati di nuovo con le sue merendine truccate, rinchiuse Anselmo in una gabbia con l’intenzione di ingrassarlo per bene e poi papparselo.
La vecchia minaccio la bambina: «Tu dovrai lavorare per me sennò mi mangio tuo fratello».
Greta venne incaricata dalla strega di andare a spingere, stecchette di fumo e pezzi di cocco, al posto suo la sera a Ostuni. Dovete sapere, che a una certa età il mestiere di pusher diventa faticoso anche per una fattucchiera. Ogni mattina la strega, dopo avere contato i soldi alzati da Greta, ordinava al bamboccino di infilare un dito tra le sbarre, per farle sentire se era ingrassato abbastanza; ogni volta il ragazzino le porgeva un ossicino, così la vecchia antropofaga credeva che era ancora troppo magro. Trascorsero così i giorni e la strega, ormai affamata di carne umana, perse la pazienza e decise di uccidere Anselmo, per poi cucinarlo, così come era. La strega cannibale accese il forno a legna e, passato un quarto d’ora, ordinò a Greta di aprire il forno per controllare se era diventato abbastanza caldo. La fanciulla rispose che non sapeva come fare. Allora la strega infilò la testa nel forno, ma Greta prontamente la spinse dentro e richiuse lo sportello. La vecchia, prese fuoco e morì bruciata.
La bambina liberò il fratello che, mentre usciva dalla gabbia, le disse: «A sorè, rubamose la pensione e i soldi dello smazzo». I bamboccini perquisirono tutte le stanze finchè non trovarono i soldi. Riempirono le loro tasche con il ricco malloppo della strega, diedero fuoco alla casa, poi uscirono.
I due bambini si misero in viaggio, alla ricerca dei due infami genitori, verso il Salento, con una fissa nella testa: la vendetta. Cammina cammina Anselmo e Greta arrivarono nelle vicinanze di Galatone, in provincia di Lecce, dove iniziarono a sentire sempre più forte il suono della cassa dritta. I bamboccini seguirono la musica e arrivarono al rave, cercarono la zona dove si erano accampati i Klingon e bussarono al furgone del loro papà.
Carlo nel vederli, allargò le braccia e li abbracciò, stringendo i due bambini forte al petto e piangendo disse: «È stata tutta colpa di quella stronza, io non volevo abbandonarvi».
«Non ti disperare, lo so papà» disse Anselmo.
«Figli miei, Flaminia durante la vostra assenza è morta, ora siamo di nuovo una famiglia».
«È questo il problema: la famiglia» pensava Greta mentre gli diceva: «Ti perdono papà».
«Grazie ragazzi, adesso vivremo felici e contenti».
I figli gli chiesero come e quando fosse morta la matrigna, Carlo raccontò loro che due giorni prima, all’inizio della festa, Flaminia aveva deciso di farsi, per la prima volta, una bella pera di roba e ketamina. Poi lui non era riuscito a farle cambiare idea e lei si era fatta, nonostante il suo parere negativo. Poco dopo essersi bucata, Flaminia collassò crepando sul colpo.
Carlo e gli altri membri dei Klingon, decisero di occultare il cadavere, non potevano permettere che il party finisse con l’arrivo delle guardie, avrebbero perso troppi soldi, sequestrato il sound system e arrestato qualcuno. Carlo, aiutato da due membri della tribe, caricò su una macchina il corpo senza vita della sua compagna, poi si diresse da un orrido e senza scrupoli allevatore di maiali, che per soli mille euro fece sparire il cadavere, dandolo in pasto ai porci.
Carlo appena finito di raccontare la storia ai figli, entrò nel furgone, si tirò una fionda di cocaina, prese il suo computer e andò in consolle, dove iniziò a suonare.
Greta si avvicino al fratello e disse: «Sgobbiamoci papà».
«Sì, ma prima dobiamo cercare un’arma».
I due bamboccini entrarono nel furgone usato dai Klingon come magazzino dove trovarono una sega elettrica. Scesero dal mezzo, lui impugnava l’arma seguito dalla sorellina che gli disse: «Devo fermarmi un attimo nel furgone, devo prendere un disco di mamma»
«Sempre che Flaminia non l’abbia venduto» disse il fratello.
Carlo, che stava suonando con l’Impulse Tracker, non sentì il rumore della sega che si accendeva. Il rimastino, anestetizzato dalle sostanze, non s’accorse di essere stato decapitato da suo figlio. Un getto di sangue investì la folla sotto cassa, Anselmo alzò al cielo la testa del padre come Perseo quella della medusa. Greta voleva che il cadavere della festa morisse, allora mise sul piatto, per ingraziarsi gli dei del caos, la traccia originaria Strings of Life di Derrick May. Si allontanò di corsa con il fratello. Mentre scappavano, i bamboccini sentirono dietro di loro prima un tuono assordante che coprì la musica, poi un fulmine cadde sul rave e bruciò tutto.
Solo allora, Anselmo e Greta capirono che sarebbero vissuti felici e contenti.
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