Noi lettori siamo abituati, dall’odierna narrativa italiana, a tematiche politiche e sociali che rientrano nel quadro del compatibile e dell’accettabile. Esistono molti volumi, sul mercato editoriale nazionale, che denunciano le mafie, il degrado e la corruzione dei palazzi del potere. Ma rari sono gli esempi di romanzi che mettono in discussione il sistema stesso. Difficilmente troviamo, tranne le poche pagine di autori quasi sconosciuti, tematiche che affrontano questioni come la mancanza di reddito, la vita nelle periferie dove il razzismo e il fascismo sono parte della quotidianità, il potere della finanza e la guerra, voluta da una banda di alcolisti texani, scatenata contro l’umanità.
Difficilissimo è poi trovare il punto di vista dei perdenti e dei vinti, la nostra letteratura tende a cancellare i vissuti e i racconti dei protagonisti del conflitto in atto dentro la crisi. Mentre la pavida intellettualità di rango si interrogava con pigrizia, sui siti letterari più noti, sull’impegno dello scrittore, ecco riesplodere il tumulto nelle piazze, dal 14 dicembre al 15 ottobre passando per la Val di Susa, e lo scontro sociale ritornare all’ordine del giorno. Una nuova leva di rivoltosi è tornata prepotentemente sulla scena e trova nella letteratura, cosa rara nel passato, un momento di lotta efficace quanto gli altri[1].
L’utilizzo della narrativa come strumento di conflitto, nel nostro paese, nasceva con il movimento anti-globalizzazione, che sarà ricordato come il primo assalto contro il capitale della piccola borghesia proletarizzata. Dentro questo movimento, non c’era una delle funzioni storiche del ceto medio – giornalista, medico, avvocato, artista, professore – che non si sia riconvertita in funzione attivistica: medici di strada, legal team, puppet master, reporter alternativi e specialisti dell’economia solidale. Non è un caso che le prime due opere, che hanno usato la letteratura come una forma di lotta, siano state pubblicate subito prima e dopo le giornate di Genova del duemilauno, Asce di Guerra dei Wu Ming eLa Banda Bellini di Marco Philopat.
In questo ultimo decennio, con il lavoro intellettuale sempre più precarizzato, la piccola borghesia ha perso quella sua natura che la rendeva inconsistente, una moltitudine a cui bastava il lancio di un lacrimogeno per disperdersi come uno stormo di passerotti. Oggi la sua proletarizzazione ha unito il suo desiderio di sciopero precario con il bisogno di rivolta dei giovani delle periferie. Siamo proiettati in un nuovo scenario di scontro dove il movimento nelle sue pratiche ha affiancato alla musica le varie forme di writing – letteratura e fumetto – per raccontare e narrare il conflitto dentro la metropoli.
Di questo e di altro ci interrogheremo nel convegno che si svolgerà a Roma, nel mese di marzo, presso la facoltà di sociologia alla Sapienza.
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