lunedì 23 maggio 2011

PROCESSI INSURREZIONALI, SCIOPERI TOTALI O COSA?




Un mondo che cambia. La politica che muta.In varie parti della Terra, uomini e donne hanno deciso di ribellarsi. C'è chi lo fa "pacificamente" come in Spagna, chi si affida allo spirito della rabbia come in nord Africa, chi scende in piazza "infuocato" come in Grecia... E poi ancora echi di rivolta in Palestina, in Irak, in tutti quei paesi orientali di cui la Televisione di regime si dimentica sempre.Il "Partito dell'Ordine" spera, con tutte le sue forze, di farci tornare a casa...In Spagna, in Francia,in Libia ed altrove.Sindacati e Governo riusciranno ad accordarsi. Lassù, almeno. Quaggiu' no: nelle strade ci siamo noi, o quelli come noi. Essi contano senza dubbio sull'attrazione fatale che avrebbe per noi l'insidiosa percezione del vuoto nel quale abbiamo così perfettamente disimparato a vivere e a lottare. In questo si sbagliano. Noi non torneremo a casa; noi che non ci sentiamo a casa da nessuna parte. Se c'è un solo spazio che abbiamo sentito come abitabile, è all'interno dell'evento grazie al quale viviamo, nelle intensità che si disegnano. In funzione, soprattutto, dei mezzi che ci sapremo dare. Il nostro spazio si chiama Rivolta, un "non luogo" che ha mille volti.
Un processo insurrezionale si rinforza a misura che le evidenze le quali, ai suoi occhi, compongono la realtà, divengono impercettibilmente  delle verità lampanti agli occhi di tutti. Se il capitalismo è una menzogna universale, la forma della sua negazione, inversamente, sarà quella di una pluralità di mondi, mescolati solidamente alle verità che vi si legano.
Ognuno puo' sforzarsi di fare la sua "analisi politica". Ogni versione è giusta, nessuna è "la verità assoluta". Ci sono solo svariate forme, ognuna degna di esistere e resistere. La diversità delle "analisi", provengano esse dal "lessico sociologico" o da quello del "radicalismo militante", propagano di concerto un'identica confusione: quella dell'apologia asmatica o del pessimismo interessato. A tutti loro manca quel minimo di senso tattico attraverso il quale un discorso trova una reale leggibilità, un vero Comune, il solo che possa liberare i possibili aspetti dalla situazione. E anche di scartare come altrettanti fantasmi gli scoraggiamenti programmati. La lama di questa voce risiede nella scelta delle parole come nella positività del loro orientamento.Per elevare l'intelligenza strategica degli avvenimenti in corso un primo gesto si rivela necessario. Quello di situarsi, di orientarsi, di decidere da che parte stare.Fin dall'inizio,il movimento, o almeno una buona parte di esso, quello studentesco in primis, ha preso le cose alla radice. Blocco economico generalizzato, organizzazione deliberata di una paralisi totale, rifiuto dei compromessi e delle negoziazioni. Peccato solo per gli intellettualoidi post 14 dicembre che dopo l'assalto hanno preferito farsi sfanculare da Sua Maestà Napolitano.
Quello che c'è stato prima pero', e gli altri che hanno proseguito poi, così hanno reso semplicemente effettive delle parole d'ordine abitualmente condannate all'attesa angosciata o al simulacro. Lo "sciopero" si è materializzato dentro dei corpi, delle determinazioni. Ed è per questo che è potuto apparire come una vera minaccia. In questo il movimento, dal punto di vista delle pratiche sociali messe in campo, si situa al di là di un semplice movimento sociale. In questo esso partecipa già di un processo insurrezionale. Ecco il nostro punto di partenza.
Andiamo ora, alle impressioni negative: Un movimento si definisce negativamente in funzione dei suoi limiti. Il suo terreno d'azione è infatti circoscritto da ciò al di là del quale non vuole andare. La sua finitezza programmata lo condanna a non essere altro che l'isterico scongiuramento di una fine prevista. La sua vita stessa è guidata da un'unica idea, quella di una fuga in avanti sempre più disperata per ritardarne la conclusione, che ne era il suo motore. La sua fine è spaventosa perché non è null'altro che la sua morte. Una temporalità separata dal corso della Storia. Non ha vocazione a durare. È sempre da riprendere, laboriosamente, dall'inizio, a partire dal nulla stesso. Partendo da qui, non potremo far altro che ricominciare sempre di nuovo e non apprendere mai niente. Poiché non  resta che niente. Chiusa la parentesi.

 Ma la vera azione non resta sospesa alla tristezza di questo canovaccio, non vi è nessun “ritorno alla normalità”. Un dato di fatto c'è, anzi c'è stato e da lì bisogna partire. L'indignazione è aumentata nello stesso momento in cui i processi rivoluzionari legati al passato, sono totalmente scomparsi. Si è chiusa una fase ma ne è nata una nuova, specchio dei tempi e delle generazioni.Vi è, in compenso, la persistenza di un processo rivoluzionario, il nuovo processo, con le sue fasi di accelerazione e i suoi rallentamenti sotterranei. Agli occhi di tale processo non esiste che un solo tempo. Un tempo nel quale non si dimentica nulla di ciò che non è successo. Vi sono, dunque, due campi: da un lato, quello di coloro che hanno intenzione di mettere in atto uno "sciopero totale", un "blocco irreversibile" della circolazione dei flussi, dall'altro, quello dei crumiri e degli sbirri. La totalità dello spazio sociale è sottoposta a questa crudele divisione. Le fasi passano ma l'indole rivoluzionaria ed insurrezionale resta in quanto tale.Mentre nel resto del mondo si fanno scintille, qui in Italia i cortei sindacali non sfociano sistematicamente in scontri bensì diventano delle feste itineranti, bellissime da un punto di vista semantico e comunicativo ma inutili visto che non c'è proprio niente dafesteggiare. Delle sassaiole eroiche e delle barricate erette con estrema rapidità quel "lontano e vicino" 14 Dicembre cosa resta?...Questa è una domanda che spesso ci poniamo. Allo stesso tempo, davanti agli stadi di calcio, un plotone di poliziotti viene preso a sassate da gruppi di rivoltosi ultras. Un amico allora disse: “È bello vedere una città sollevarsi contro la sua polizia.” Ora, nel continuo scambiarsi di ruoli di questa società bisogna avere dei punti fermi. La "rabbia sociale" che in alcuni casi trova vie di fuga negli stadi di calcio è la stessa delle masse popolari indignate, dei precari e degli studenti. E' la stessa gente. Ecco perchè la rabbia sociale va indirizzata, studiata, fomentata. Servono processi culturali pubblici. Servono alternative reali alla "baracca dei partiti".Il senso della vera lotta non è tra le classi, tra il Capitale e il Lavoro, ma tra partigiani raggruppati in funzione del loro culto patologico del lavoro o del loro semplice disgusto. Da ora in poi non vi sono che quelli che vogliono ancora lavorare e quelli che non lo vogliono più. La politica classica si è costruita su molteplici assiomi presentati, da lei stessa, come insuperabili. Il principio di "governamentalità", ovvero l'organizzazione di un bisogno sociale in virtù del quale «occorre che le cose siano governate», senza il quale tutto ricadrebbe inevitabilmente nel caos. E poi c'è quello del lavoro che, come un ricatto, non afferma niente di più che «occorre vivere bene», senza condizioni e in qualsiasi modo.La programmazione di un futuro farà sempre rima con l’impossibilità di un qui ed ora. «Produrre del tempo libero» in favore di una migliore gestione del tempo di lavoro, ecco ciò che offre il più sospetto degli utopismi. Opporre una certa quantità di lavoro morto all'apertura di un possibile operare vivente non fa che gettare un po' più di discredito sui fautori di questo ottimismo. Non esiste un lavoro qualitativamente diminuito da una sottrazione quantitativa della sua durata. Non esiste una durata del lavoro, poiché il lavoro è la durata, il tempo subìto.Il discorso mediatico s’ingegna ormai a parlare dello sciopero come se si trattasse di una branchia della scienza metereologica. Ci s’inquieta della scarsità di benzina come dell’imminenza di una canicola; si evocano le sommosse dei liceali alla maniera di improvvise nevicate; si chiacchiera a proposito dello sciopero come si farebbe di precipitazioni problematiche. Così, come fanno tutti dopo la pioggia, ognuno impreca su queste previsioni. «Che ricada su chi fa i blocchi la furia popolare». Ma, ovviamente, non funziona. Presentare ogni sera, oltre l’instancabile bollettino d’informazione, tutto il “malcontento”, le “prese in ostaggio”, i “disperati della pompa di benzina”, come si trattasse di turisti prigionieri delle inondazioni in India o di minatori cileni persi nel fondo della miniera, si rivela essere una strategia molto precaria da parte del potere.
In un mondo in cui la circolazione dei flussi si estende a livello globale, il partito dei "io non voto perchè nessuno mi rappresenta e perchè nessuno mi assicura il futuro", che è del resto quello dell’insurrezione, non può logicamente sperare di vincere se non tesse, anche a livello globale, le solidarietà necessarie alla sua durata. Il suo campo d’azione non conosce limiti. Così come l'estensione e la portata delle sue pretese.
La questione della violenza non si pone più: essa s’impone a tutti.        
 Si tratta di mettersi in contatto con le condizioni materiali e affettive che ci legano a questo mondo. Di rendere non solo impossibile ma anche indesiderabile ogni ritorno alla normalità. Per questo occorre costruire una cartografia di ciò che ci lega: flussi, poteri, affetti, logistica e approvvigionamento. Acquisire, sul filo delle amicizie cospirative, i saperi insurrezionali attraverso cui sconfiggeremo questo mondo. Abbiamo appena appreso le prime lettere dell'abecedario della sedizione. 
Sappiamo come paralizzare le raffinerie, i depositi petroliferi, le autostrade, i porti. Lasciar riempire le strade di rifiuti per farne delle barricate. Rompere le vetrine che riflettono la nostra assenza. Le domande che si impongono potrebbero dunque essere: come bloccare, definitivamente, le centrali nucleari? Come convertire lo sciopero in diserzione? Come nutrirsi, curarsi, amarsi, senza lasciare questo mondo in pace.
Sono le domande che si pongono oggi i ribelli.
Sono le domande che noi facciamo a voi altri.
E tutto questo nuovo modo di pensare ci ha riscaldato il cuore...come le fiamme alte.

....Questa nuova linfa rivoluzionaria l'abbiamo recepita dalle compagne e dai compagni francesi che durante l'Autunno hanno riacceso l'indole rivoltosa dei movimenti.

Meditate, compagn*, meditate.

(A)   L.SL   (A)



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